Messaggi flash e pensieri

01/03/2012: Addio grande uomo! :'(

Racconto del team Alessandro C., Diana M. e Patrizia R

Un giorno, mentre sistemava la soffitta, M.E.C. trovò un baule di legno che non riconobbe come suo, e decise quindi di portarlo in redazione il lunedì mattina.

Sarebbe stato benissimo nella sala riunioni, aveva l’aspetto antico ma era ancora in ottimo stato. Era lavorato a intarsio, opera di un vero artista, oggigiorno non ne facevano più così. Aveva complicate serrature dall’aspetto temibile e sul coperchio erano incisi a fuoco simboli arcani. A dirla tutta era anche un po’ inquietante.

Si stava facendo impressionare dall’atmosfera lugubre della soffitta. Non ci andava mai volentieri, ma non poteva più evitare di metterla a posto.

Riempì uno scatolone di roba da buttare via e fece per posarlo accanto alla botola, ma … bammm!!! Sbatté la testa contro una trave, vide mille luci e poi fu il buio.

Si svegliò tutto indolenzito: quanto tempo era rimasto lì steso? Si toccò la testa e sentì un bernoccolo che pulsava e gli faceva un male cane.

Era scesa la notte e cercò a tentoni l’interruttore della luce ma … non riuscì a trovarlo. Aspettò un po’, lì seduto a terra, con la testa che gli doleva sempre più, aspettando che gli occhi si abituassero al chiarore della luna. Cominciava a intravedere qualcosa, ma gli sembrava che tutto fosse diverso da come ricordava.

Non riusciva a pensare, voleva solo qualcosa per farsi passare il mal di testa e stendersi a letto. Trovò in qualche modo la botola e la scala per scendere, raggiunse il piano di sotto, entrò in camera e … non capì più nulla! Era tutto cambiato, i mobili non erano i suoi, non li vedeva chiaramente ma erano di foggia antiquata, era tutto spostato e, non riusciva a crederci, il baule che aveva trovato in soffitta ora era lì, ai piedi del letto: come c’era arrivato?

In preda al panico scese al piano terra, dove c’erano salotto e cucina (ma c’erano ancora?) e ricevette l’ultimo colpo: il fuoco ardeva nel camino, una giovane donna sconosciuta, che sembrava uscita da una stampa medievale, versava qualcosa in un pentolone e un drago (!!!) in miniatura sonnecchiava vicino a lei! Gli mancò il respiro, tutto iniziò a girare e infine svenne un’altra volta.

Quando riaprì gli occhi era giorno, il sole entrava dalle finestre e si convinse di aver sognato, ma quando provò a girarsi una fitta alla testa gli fece capire che almeno il bernoccolo era vero e reale e quando diede uno sguardo alla stanza l’orrore della situazione gli piombò addosso e lo lasciò sgomento.

Era sveglio, di questo era sicuro, ma “dove” era? E soprattutto: “quando” era?

Respirò a fondo alcune volte per calmarsi, poi iniziò a valutare attentamente tutto ciò che rientrava nel suo campo visivo.

Il letto su cui era steso era monumentale. Colonne di legno intagliato con strane figure reggevano un baldacchino con tendaggi di broccato viola intessuto d’oro. Dalla finestra scorgeva la linea familiare dei monti che gli dicevano, perlomeno, che si trovava sempre nella sua casa, solo che era “un tantino” diversa dal solito.

Aveva sete, desiderava un bicchiere, un secchio intero, di acqua fresca. Su un cassettone accanto al letto apparvero una brocca e un calice. Si disse che c’erano anche prima, solo che lui non li aveva notati. Le cose non appaiono per magia. Provò a tendere la mano, ma non ci arrivava e non aveva abbastanza forze per alzarsi: il bicchiere fluttuò nell’aria e venne a lui. Era troppo. Imprecò e per poco non svenne di nuovo.

Rapido, entrò nella stanza un giovane. M.E.C. era terrorizzato, ma non al punto di non accorgersi dell’incredibile bellezza del ragazzo, praticamente l’incarnazione dei suoi sogni segreti.

Sentì di potersi fidare di lui e gli chiese “Come ti chiami? Puoi aiutarmi?”. Il sorriso scomparve da quel bellissimo volto per lasciare il posto a un’espressione di infinita tristezza. “Mio signore, il mio nome è Manuel. Speravo –noi tutti speravamo- che foste guarito, ma vedo che la febbre ancora vi affligge. Chiederò mia sorella di portare dell’altra pozione, intanto permettete che vi aiuti a sollevarvi un po’. Volete che apra la finestra? Di solito gradite l’aria fresca.” Mentre parlava, il ragazzo si affaccendava attorno a lui, rassettando il letto, sprimacciando i cuscini, rimettendo a posto il calice e aprendo i battenti della finestra. Quando gli cinse le spalle per aiutarlo a mettersi in una posizione più confortevole, si sentì percorrere da un brivido, e non era di freddo. “Calmati, cretino.” pensò “Ti pare il momento?”

Il giovane uscì e M.E.C. cercò di riordinare le idee per capire cosa gli stesse succedendo, ma c’erano troppe incognite, troppi misteri. Dopo pochi minuti Manuel tornò, seguito dalla donna vista in cucina la notte precedente, e lo sorresse mentre lei gli accostava alle labbra una coppa colma di un liquido dall’odore nauseabondo. Lo riconobbe: decotto di corteccia di salice. Sapeva che gli avrebbe fatto bene e si costrinse a berne alcuni sorsi.

Si abbandonò nuovamente contro i cuscini, cercando ancora di capire in quale guaio si fosse cacciato e, soprattutto, come uscirne. Dopo un po’, però, si assopì, forse per effetto della pozione bevuta.

Dormì un sonno tutto sommato tranquillo e quando si ridestò si sentiva abbastanza in forze. D’un tratto si sentì osservato. In effetti, immobile accanto a lui qualcuno lo stava fissando intensamente: si trattava di una splendida gatta, identica alla sua Titou. Al ricordo di casa (quella “vera”) provò un acuto dolore ma scacciò rapido il pensiero e si apprestò a scendere dal letto. “Ben svegliato, Mi-Kha'El. Vedo con piacere che stai meglio, ci hai fatto preoccupare stavolta.” Le parole risuonarono chiare nella sua mente. Nella stanza c’erano solo lui e la gatta.

“Non hai nulla da temere. Ricordi chi sei?”

“No che non ricordo!” Si sorprese a replicare nello stesso modo in cui ascoltava, telepaticamente. Si rese conto anche che la gatta, se gatta era, poteva forse rispondere alle sue domande. Non ebbe nemmeno bisogno di formularle, le risposte arrivarono pronte. “Il tuo corpo non appartiene a questo tempo, ma il tuo spirito protegge questi luoghi e queste genti fin dalle ere remote in cui le terre emersero dal fuoco. Ogni volta che un pericolo si avvicina tu vieni richiamato per svolgere il tuo compito. Nel tempo dal quale ora provieni avevi scelto una forma umana e quella ti è rimasta, ma essa per sua natura è limitata e ti preclude i ricordi di tutte le tue vite precedenti e quello della tua vera essenza.”

“La mia vera essenza?”

“Tu sei uno di noi, uno Spirito Guida, un Protettore.”

Gli occorse ben più di qualche minuto per assorbire queste informazioni. Lui uno spirito guida? Aveva sempre saputo di non essere proprio come tutte le altre persone, ma … questo? Si chiese quali pericoli avrebbe dovuto affrontare e quali sarebbero state le sue armi per combatterli, aveva già avuto un assaggio della sua capacità di telecinesi, ma era un po’ scarsina come arma. Chissà cos’altro era in grado di fare.

Improvvisamente si ricordò di un particolare che in tutto quel trambusto era rimasto un po’ in ombra: il baule! Era iniziato tutto da quell’oggetto. Anche stavolta la gatta parlò senza che fosse necessario interrogarla. “È lo strumento che usiamo per trasferire il tuo corpo nel tempo e contiene ciò che ti potrebbe servire, ti basta?” Gli sembrò di cogliere un leggero accenno di sarcasmo nelle parole della gatta. Chiaramente stava leggendo il caos dei suoi pensieri e se la stava godendo un mondo: spirito guida o no, i gatti sono sempre dei gran bastardi, accidenti!

Si avvicinò alla finestra. Il paesaggio, familiare e del tutto nuovo, ebbe l’effetto di tranquillizzarlo. Man mano che elaborava la situazione, aumentava la sua percezione di sé, iniziava ad avvertire una sensazione di inquietudine sempre più accentuata: c’era davvero un pericolo nell’aria, ora lo sentiva anche lui.

Si accorse anche che nel trasferimento aveva sì mantenuto la sua identità umana, ma aveva perso per strada un bel po’ di epa. Era in perfetta forma e si

sentiva agile e scattante. Anche se preferiva ricorrere alle sue capacità mentali, sapere di poter fronteggiare al meglio un’eventuale aggressione fisica non gli dispiaceva affatto.

La sensazione di pericolo aumentava. Si volse di nuovo alla gatta. “Sai dirmi cosa ci minaccia?”

La sua sinuosa compagna si rabbuiò. “Purtroppo sì”.

“Questa è un’era di pace, anzi dovrei dire che lo è stata fino a qualche tempo fa. Le Terre del Grande Lago Verde erano governate dalla Dama Bianca e anche su quelle terre vegliava uno di noi, nella abituale forma felina. Un giorno era al castello un principe, venuto a stringere accordi commerciali e a corteggiare la figlia della Dama Bianca: sperava di conquistarla e tramite lei acquisire il potere su paese ricco e fertile per poi sfruttarlo a suo piacimento. Il nostro compagno lesse la sua mente e si frappose tra lui e la principessa con fare minaccioso. Il principe, da individuo meschino e crudele qual era, sguainò la spada e trafisse quello che per lui era solo un fastidioso intralcio. La principessa inorridita scappò via e di lei si persero le tracce, la Dama Bianca alla vista del suo amatissimo gatto esanime e alla notizia della scomparsa della sua unica figlia impazzì dal dolore. Privi di controllo, i suoi poteri si scatenarono: una tempesta di fulmini si addensò sul castello, saette infuocate sterminarono il principe e il suo seguito, nessuno trovò scampo. Poi radunò tutti gli uomini del suo regno in un esercito invincibile e da allora li conduce alla conquista dei regni circostanti, alla ricerca della figlia perduta e del suo spirito guida, che crede di riconoscere in ogni felino che incontra.

Nessuno, finora, è riuscito a fermarla, tu sei l’ultima speranza: se fallirai, non solo la tua valle verrà sottomessa, ma sarà la fine di quest’era.

Devi partire subito, ormai l’esercito non è più molto lontano.”

“Ma … “ “No, non c’è tempo, adesso, per le domande. Preparati alla partenza.”

Con un balzo la gatta uscì dalla stanza e sparì. M.E.C. avrebbe avuto mille e mille cose da chiedere ancora, ma era chiaro che avrebbe dovuto attendere. “Almeno vorrei sapere se dispongo di un esercito anch’io! Come posso vincere la guerra, altrimenti?”

La voce della gatta entrò ancora una volta nella sua mente: “Non si può vincere una guerra, le guerre si perdono sempre.”

Vero. La guerra andava evitata, era quella l’unica vittoria possibile. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto, ma sapeva che ci avrebbe provato con tutto sé stesso.

Chiamò Manuel e gli chiese di preparare il necessario per un lungo viaggio. “Partite, mio signore? Andate a fermare la Dama Bianca? Verrò con voi, sarà tutto pronto entro un’ora, non temete.” E uscì rapido per svolgere il compito assegnatogli. M.E.C. non voleva coinvolgere nessuno, ma in verità non gli dispiaceva avere un po’ di compagnia. “Vorrà dire” pensò “che quando arriveremo in territorio pericoloso lo rimanderò indietro.”

Volle ispezionare il contenuto del baule. Gli bastò avvicinarsi perché le serrature scattassero; sollevò il coperchio e …. c’era solo una collana! Era una pesante catena d’argento che portava appeso un ciondolo formato da una pietra incastonata in un intreccio di foglie d’alloro fuse col metallo. Avrebbe dovuto riconoscere la pietra, sapeva tutto dei minerali, ma non aveva mai visto nulla di simile! Era di forma irregolare, opalescente, ma il colore … era indefinibile: cambiava continuamente sfumando dal nero più profondo al blu acquamarina, come un’onda del mare non era mai uguale a com’era un attimo prima. Restò a fissarla, senza parole, poi, lentamente, si passò la catena attorno al capo e indossò la collana. Immediatamente sentì che la sua energia aumentava a dismisura, catalizzata e amplificata dal monile.

Chiuse lentamente il baule ormai vuoto e questo all’istante si rimpicciolì diventando non più grande di una noce. Non riusciva nemmeno più a sbalordirsi, si limitò a prendere atto della cosa e infilarsi in tasca il piccolo cofanetto, forse prima o poi ne avrebbe avuto bisogno nuovamente.

Scese e trovò Manuel pronto, in attesa. Non era solo, con lui c’era la sorella. Aveva cambiato gli abiti e tagliato i capelli, ora sembrava un giovane garzone. “Mio signore” disse”non fatemi rimanere da sola, lasciate che venga con voi, so curare ogni male con le erbe, potrò esservi d’aiuto.” M.E.C. non era molto convinto, ma come poteva sapere se a casa sarebbe stata più al sicuro? E se l’esercito nemico lo avesse sopraffatto? Tanto valeva che rimanessero insieme. Con un cenno acconsentì e la piccola comitiva si mise in cammino, seguita in volo dal minuscolo drago.

Camminarono fino al tramonto, seguendo il corso del torrente che attraversava la valle. Manuel, però, li guidava lungo sentieri secondari che M.E.C. non ricordava di aver mai percorso. Forse nel tempo di cui aveva memoria erano scomparsi. All’approssimarsi del buio cercarono un riparo. Si accamparono non lontano da una cascata, a ridosso di una parete di roccia, attorniati dal bosco. Manuel non volle accendere il fuoco, disse che non era sicuro. M.E.C. si rese conto che era nervoso come un gatto, con tutti i sensi all’erta. Lui, per contro, si sentiva tranquillo anche se non sapeva spiegarsene il motivo, vista la situazione. Si accontentarono di un frugale pasto freddo, Manuel non volle nemmeno che dormissero tutti. “Signore” diceva “la Dama Bianca vi teme, le sue spie vi staranno cercando ovunque, non possiamo rischiare!” A M.E.C. tutto questo sembrava assurdo: come poteva una potente maga temere lui? Comunque, per tranquillizzarlo, accondiscese alla richiesta della sua guida, anzi pretese di fare lui il primo turno di guardia.

Dopo un po’, però, complici la stanchezza del viaggio e le tante emozioni della giornata, si addormentò profondamente. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, si risvegliò improvvisamente con la nettissima e sgradevole sensazione di una presenza ostile. Un brivido lo scosse, l’adrenalina entrava in circolo, i sensi erano all’erta ma la notte era buia, le nuvole coprivano il cielo, impossibile vedere alcunché. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi, non erano passi umani. Si rese conto che anche i suoi compagni erano in attesa, come lui. I passi erano sempre più vicini. Voleva vedere, gli occhi della mente non lo stavano aiutando. Gli sembrò che la collana vibrasse, un improvviso vento gelido aprì le nubi e la luce della luna illuminò un grande lupo grigio immobile a pochi metri, con un solo balzo sarebbe stato loro addosso. Fuggire? E dove? Sarebbero stati raggiunti ancor prima di muoversi.

Si accorsero anche che il lupo non era solo, il suo branco era con lui. Non c’era scampo.

Avvenne tutto in modo rapidissimo: i lupi attaccarono, si sentirono grida di terrore, ringhi e ululati e poi i rumori di diverse persone in fuga precipitosa.

Il capo branco tornò: era bellissimo: fiero, selvaggio e terribile; si fermò di fronte a M.E.C. I suoi pensieri gli giunsero chiarissimi: “Dormi tranquillo, Mi-Kha'El, Signore di queste terre. Nessuno oserà fare del male a te e ai tuoi compagni, il bosco veglia su di voi e vi protegge.” Poi si voltò e sparì tra gli alberi, silenzioso come era venuto.

M.E.C. seppe che, almeno per quella notte, sarebbero stati davvero al sicuro. Ma chi erano i nemici messi in fuga? Probabilmente gli emissari della Dama Bianca tanto temuti da Manuel. Alla fine doveva ammettere che aveva avuto ragione lui. Chissà quante altre cose sapeva, avrebbe dovuto interrogarlo. Domani, però; ora, passata la tensione, la stanchezza tornava prepotente a reclamare il sonno.

La Dama Bianca era immobile sulla torre del castello. La Luna illuminava un mondo desolato che lei stessa aveva creato e che rispecchiava la disperazione che aveva dentro. I Draghi Neri volavano lenti, pattugliando il territorio. Erano invincibili, ma la sua magia ne aveva avvinto e soggiogato le menti e li aveva resi formidabili armi per il suo esercito.

Nelle notti di plenilunio la Dea, per qualche ora, la liberava in parte dalle catene del maleficio con cui l’aveva colpita il principe morente e in quei momenti poteva ricordare il passato e vedere il presente, anche se non le era concesso di porre fine a quell’incubo.

Ogni volta era peggiore della precedente. Ricordare era doloroso, vedere il male che stava facendo era terribile, sapere di non poter tornare indietro la riempiva d’angoscia. Per fortuna tra poco la Luna sarebbe tramontata e lei sarebbe stata di nuovo dominata dall’odio e dal furore e non avrebbe più sofferto fino al prossimo plenilunio.

O forse tutto sarebbe finito prima: il più potente dei Protettori stava venendo a fermarla, aveva percepito con chiarezza l’attimo in cui era tornato.

Chissà se lui ricordava che un tempo erano stati grandi amici? Per un periodo breve e felice avevano condiviso tutto: pensieri, sogni, speranze, dubbi e certezze, conoscenze e segreti. D’improvviso lui non l’aveva più cercata, poi aveva smesso anche di parlarle e infine si era allontanato del tutto uscendo dalla sua vita e lasciando dietro sé solo infiniti interrogativi senza risposta. Quel ricordo le provocò una fitta lancinante all’altezza del cuore. Era una ferita mai rimarginata. Nasconderla agli altri le costava un’enorme fatica, tanto che quando le erano stati strappati gli unici altri suoi affetti non aveva avuto la forza di controllarsi e i suoi poteri oscuri si erano scatenati. Aveva distrutto chi aveva osato portarle via ciò che di più prezioso possedeva. In quell’attimo di furia cieca in cui nessuno la proteggeva lei era stata vulnerabile, e in quel varco si era insinuata l’ultima maledizione del principe che aveva riversato in lei tutto il suo odio. Quanto era stato incredibilmente facile lasciare che quell’odio riempisse il vuoto della sua anima, assopendo dolore e angoscia, cancellando ogni altro sentimento e facendo scivolare il passato in un limbo dal quale non poteva più farla soffrire!

E ora Mi-Kha'El era tornato.

La Luna tramontava. Un’ultima lacrima scese silenziosa, poi gli occhi della Dama Bianca si accesero delle fiamme nere della vendetta.

La Dea se n’era andata, era di nuovo il tempo delle armi.

M.E.C. camminava assorto, i suoi pensieri tornavano continuamente al sogno che aveva fatto quella notte: una donna lo guardava, in silenzio. Lui sapeva di doverla temere, era certo che fosse la Dama Bianca, eppure non provava paura, era come se la conoscesse da sempre. Ma … non ricordava nulla, nulla! Non ne distingueva nemmeno il volto, che nel sogno rimaneva in ombra.

Di colpo venne strappato dalle sue meditazioni: il cielo era stato oscurato da un’enorme massa scura che planava rapidamente verso di loro: un drago!

Si diedero a una fuga disordinata attraverso il bosco, tentando di nascondersi nel folto degli alberi, sperando di trovare una grotta, anche una semplice cengia che li proteggesse, invece sbucarono in una radura dove furono completamente allo scoperto. Di fronte solo una nuda parete di roccia, dovevano battersi, non c’era scelta.

Avvertiva la paura di Manuel e Alice, lo stesso terrore che attanagliava lui. Vide però nei loro occhi la determinazione a non arrendersi. Dalle mani di Alice iniziarono a scoccare piccole scintille che ben presto si trasformarono in veri e propri fulmini.Lei li scagliò verso il mostro che li assaliva, riuscendo quantomeno a disturbarlo.

Manuel, a sua volta, generò uno scudo di energia che per un po’ li avrebbe protetti. E lui? Cosa poteva fare M.E.C. per salvare la propria vita e quella dei compagni? Si guardò intorno in cerca di un’arma di qualche tipo. Ovviamente non c’era nulla, ridicolo anche solo pensare di sconfiggere un drago con pietre e bastoni. E allora? Maledisse la gatta che non si era più fatta vedere: come poteva pensare che avrebbe portato a termine la missione di salvare quel mondo senza un minimo di istruzioni? Accidenti a lei!

Però ricordare il suo unico incontro con quell’enigmatica tutor gli fece pensare che forse poteva entrare in contatto telepatico con il drago e, chissà, convincerlo a lasciarli andare. Valeva la pena di tentare. Respirò a fondo e cercò la concentrazione per stabilire il contatto: trovò un muro. Capì allora che la mente dell’enorme rettile era controllata dalla Dama Bianca, doveva sgretolare quel muro e liberare la volontà dell’animale se voleva salvare tutti loro!

Percepiva l’energia dei suoi amici che andava scemando, presto sarebbero stati perduti e lui non riusciva a trovare nessuna breccia per raggiungere la mente del loro nemico. In quel momento accadde l’imprevedibile: il minuscolo draghetto che sempre li seguiva (e che in quel frangente sembrava essersi volatilizzato) si parò tra loro e il suo simile, mille volte più grande di lui, senza paura. La sua presenza fermò l’attacco e M.E.C. percepì un’ondata di dolore mista a sollievo provenire dal grande drago e subito dopo lo vide allontanarsi in volo, rapido com’era venuto.

Altre domande, altri misteri: perché era bastata la sola presenza di Fafnir per salvare tutti loro? Quel piccoletto verde era forse il cucciolo del drago nero?

Manuel e Alice, esausti, erano sdraiati sull’erba. M.E.C. li osservò. Erano entrambi alti e snelli, i loro tratti erano simili: volti dall’ovale perfetto, la pelle candida, diafana, gli occhi dal taglio allungato, felino, scuri come la notte quelli di lei, verdi come un prato d’Irlanda quelli di lui. I capelli di entrambi erano luminosi e ondulati, quelli di Alice di un nero intenso, quelli di Manuel di un morbido color rame. Quando si muovevano i loro passi erano agili e armoniosi, quasi una danza. Avevano dimostrato di avere dei poteri e di saperli usare: chi erano veramente? E chi era Fafnir, che ora, piccolo e sconsolato, si era accucciato vicino ad Alice e le leccava il viso, cercando carezze?

Attese che i ragazzi riprendessero le forze, poi parlò: “Così non ha senso continuare, è assurdo! Non so dove stiamo andando, non so cosa ci si aspetta da me, non so con quali armi posso combattere una donna tanto potente da dominare i draghi, non so nulla! Almeno voi, potete aiutarmi? Potete darmi qualche spiegazione?”

I due giovani si guardarono sconcertati. Manuel iniziò a dire “Mio signore, voi…” ma M.E.C. lo bloccò: “Ti prego, basta con questo ‘mio signore’, chiamami M.E.C., stiamo vivendo quest’avventura insieme, vorrei che fossimo semplicemente amici. Raccontami di te, di tua sorella, del draghetto. Chi siete? Avete altri poteri oltre a quelli che avete sfoderato prima?”

“Mio sign… M.E.C.” si corresse subito Manuel, con un breve sorriso “non ti so rispondere, io e Alice non ricordiamo nulla del nostro passato. In realtà non sappiamo nemmeno se siamo fratello e sorella, lo supponiamo solamente, per via della nostra somiglianza e del forte legame che comunque sentiamo esistere tra noi.” Il racconto proseguì. I due ragazzi si erano svegliati -mesi addietro- in mezzo al bosco, senza memoria alcuna di chi fossero e da dove venissero. Avevano vagato per tutto il giorno fino a raggiungere un piccolo villaggio dove erano stati accolti e rifocillati dal fabbro e da sua moglie, persone semplici e generose che si presero a cuore il loro caso. Parlando con la coppia vennero a sapere di trovarsi nelle terre governate e protette da un grande stregone. Lui, probabilmente, avrebbe potuto ridare loro la memoria. Mai nessuno, disse il fabbro, aveva bussato alla porta dello stregone senza ricevere ciò di cui abbisognava. Indicò ai ragazzi la via per raggiungere la casa inerpicata sulla montagna dove, ne era certo, avrebbero trovato asilo e aiuto. Ma, proseguì Manuel, quando erano arrivati avevano trovato lui, M.E.C., riverso a terra, delirante per una febbre altissima che lo divorava. La casa era deserta, a parte un piccolo drago, tremante di paura e affamato, accucciato in un angolo della cucina. A quel punto da questuanti si erano trasformati in soccorritori. Misero a letto M.E.C, Manuel accese il fuoco in cucina, Alice andò nel bosco a raccogliere erbe per la zuppa e per curare la febbre. Non sapeva dove e quando avesse imparato a conoscerle e usarle, ma era sicura di ciò che faceva. Per molti giorni i due ragazzi si presero cura di lui: Alice raccoglieva erbe e preparava misteriose pozioni, Manuel scendeva in paese e faceva piccoli lavoretti per ottenere in cambio il cibo di cui avevano bisogno. Quando la gente seppe che il mago era malato, offrì spontaneamente tutto ciò che aveva, memore e grata per l’aiuto sempre ricevuto, ma Manuel accettava solo quello che era davvero necessario e cercava di ricambiare in qualche modo.

I giorni passavano. Fafnir -così avevano battezzato il draghetto- era diventato compagno inseparabile di Alice. La seguiva ovunque, una vera ombra. In casa si rendeva utile soprattutto al momento di accendere il fuoco, risparmiando col suo soffio infuocato la fatica di accenderlo con esca e acciarino, cosa che Manuel apprezzava molto!

Poi la febbre se n’era finalmente andata e avevano creduto che durante il viaggio il mago avrebbe ridato loro la memoria, ma ora scoprivano che lui stesso l’aveva completamente perduta e si sentivano alquanto scoraggiati.

I tre sospirarono, all’unisono, e subito scoppiarono in una risata, tanto assurda quanto liberatoria!

“Bene” disse M.E.C. riprendendo fiato “Fra tutti abbiamo un sacco di domande e nessuna risposta. Dobbiamo fermare una guerra e ricondurre alla ragione una maga invincibile, spalleggiata da bestioni giganteschi e terribili. Come facciamo?”

“Una possibilità ci sarebbe” disse Alice. Era strano sentirla parlare, di solito era piuttosto taciturna. “Fafnir mi ha raccontato che nel regno dei draghi è custodito un libro in cui è scritta tutta la storia del nostro mondo e che chi sa leggerlo può trovare anche formule magiche antichissime. Il potere che può scaturirne è immenso e pericoloso, per questo i draghi custodiscono il libro gelosamente e non permettono a nessuno di avvicinarlo, forse per te faranno un’eccezione. Tentiamo, non vedo altra soluzione che raggiungere il libro e i suoi segreti.”

Rimasero in silenzio, meditando su ciò che li aspettava. M.E.C. chiese “Dove si trova il regno dei Draghi?”

Manuel, senza parlare, indicò un gruppo di montagne sulla loro destra. M.E.C. rabbrividì: conosceva quelle cime! Era una delle zone più impervie e selvagge di tutta la regione: una foresta impenetrabile celava forre e anfratti, gole e burroni e una volta oltrepassata la foresta ci si trovava di fronte a pareti inaccessibili che terminavano in guglie svettanti contro il cielo, quasi a sfidare beffardamente chi avesse osato pensare di conquistarle. E loro avrebbero dovuto andare lì! Solo dei pazzi l’avrebbero pensato. O dei disperati. Si domandò cosa fossero loro, preferì non rispondersi.

Si rivolse invece a Manuel: “Sapresti guidarci fin là?”

Il ragazzo esitò, ma poi rispose: “Sì, credo di sì. Ho la sensazione di esserci già stato. Non sarà facile.”

Alice era già in piedi e raccoglieva il suo fardello. “Abbiamo ancora alcune ore di luce, sarà meglio incamminarci”.

Per tre giorni si inerpicarono lungo pendii sempre più scoscesi, senza incontrare però le difficoltà che si erano aspettati: la foresta sembrava aprirsi dinnanzi a loro per poi richiudersi alle loro spalle, quasi ad aiutarli. Manuel procedeva sicuro e li conduceva sempre più in alto. La foresta si diradò fino a scomparire, lasciando il posto a prati dove brucavano alcuni stambecchi che fuggivano al loro passaggio. Raggiunsero e costeggiarono una parete di roccia fino a trovare una fenditura seminascosta, quasi invisibile. Manuel vi si inoltrò senza esitare e i suoi compagni lo seguirono. Dopo pochi passi, però, si trovarono nel buio più totale, allora Alice generò alcune scintille il cui chiarore illuminò i loro passi nel cuore della montagna. Avanzarono per circa un’ora poi, all’improvviso, furono di nuovo fuori. Uno spettacolo mozzafiato si presentò ai loro occhi: erano sbucati in una conca, piuttosto vasta, circondata da vette altissime che in quel momento, alla luce del sole al tramonto, si tingevano di rosa. Tutto intorno erano innumerevoli cristalli, limpidissimi, che catturavano e riflettevano la luce, dando a quel posto un’atmosfera fiabesca. Ristettero, sbalorditi, finche una voce li riscosse: “Benvenuto Mi-Kha'El, la tua presenza ci onora.”

A parlare era stato un drago dall’aria venerabile. M.E.C. si inchinò a lui e ricambiò il saluto. “Ti ringrazio. Tu sembri conoscermi, ma io non so nulla di me, e così pure i miei compagni. Siamo venuti fin qui per chiedere di poter leggere il Libro, per ritrovare in esso il nostro passato e conoscere il modo per porre fine alla guerra che devasta il nostro mondo.” Il drago annuì gravemente. “Ti accosterai al Libro domani, ora avete bisogno di riposo e di cibo, venite con me.” In quel mentre Fafnir fece capolino da dietro un grosso cespuglio dove s’era nascosto e si diresse timidamente verso il suo simile. A M.E.C. arrivò distintamente la sua paura di venir rifiutato, ma subito dopo percepì la grande gioia del vecchio rettile che avvolse nelle sue grandi ali il cucciolo, carezzandolo in un abbraccio affettuoso. “Protettore, quale grande dono ci porti! Da quando i genitori di questo piccolino sono stati rapiti dalla Dama Bianca, di lui non abbiamo saputo più nulla. Temevamo che, non essendo ancora abbastanza grande da essere impiegato in combattimento, fosse stato ucciso! Invece tu ce lo riporti, ti saremo debitori per sempre!” M.E.C. credette, per un attimo, di vedere una lacrima scivolare sul quel muso segnato dagli anni, mentre l’immensa felicità che irradiavano i due lo caricò di energia positiva come nient’altro avrebbe potuto fare. Notò che la pietra appesa alla sua collana era molto chiara in quel momento.

Si incamminarono tutti al seguito della loro gigantesca guida. Fafnir svolazzava in giro scodinzolando, scoppiava di gioia!

Entrarono in una caverna tanto alta che avrebbe potuto ospitare una cattedrale. Anche qui, come già avevano notato fuori, videro che le pareti e la volta della grotta erano incastonate di splendidi cristalli che la facevano somigliare a un prezioso scrigno. Evidentemente erano attesi: un grande fuoco era stato acceso per loro, soffici giacigli di foglie erano pronti ad accoglierli e piramidi di deliziosi frutti maturi avrebbero saziato la loro fame. Un gruppo di draghi si fece loro incontro. Tutti ebbero parole di benvenuto e di gratitudine per M.E.C. e tutti abbracciarono il piccolo Fafnir che non sapeva più come esprimere la sua euforia: era a casa!

L’indomani, all’alba, i tre erano già svegli. Finalmente avrebbero letto il Libro, finalmente avrebbero ritrovato la propria storia, finalmente avrebbero saputo cosa li aspettava nei giorni a venire! Con passo leggero si avviarono verso la grotta dove era custodito il prezioso volume. Anche qui lo spettacolo era da mozzare il fiato: cristalli ovunque. Limpidi e trasparenti, catturavano la luce esterna grazie a un gioco di prismi e la riflettevano ovunque all’interno della grotta con effetti cromatici incredibili. Ristettero un attimo all’ingresso, affascinati da quel carosello multicolore, poi avanzarono verso il centro della caverna dove, poggiato su un unico enorme cristallo, era il Libro.

Accadde all’improvviso: un raggio nero scaturì dal Libro, li colpì, li catturò.

M.E.C. non riusciva a muoversi, si sentiva soffocare. Vide che Manuel era rannicchiato su sé stesso, in posizione fetale, e percepì la sua angoscia anche se non ne capiva la causa. Poi vide Alice: immobile, lo sguardo terrorizzato, fissava qualcosa. Con gli occhi della mente vide anche lui l’enorme ragno che la stava attaccando. La luce nera stava usando le loro stesse paure per distruggerli! M.E.C. riprese il controllo del proprio respiro, poi entrò in sintonia con la mente della ragazza e la liberò dalla visione. Si volse a questo punto a Manuel e sciolse anche lui dall’abbraccio mortale delle sue paure. Mantenne alta la concentrazione, esercitando il suo potere calmante nei confronti dei compagni che, purtroppo, non gli erano di aiuto in quel frangente. Era ormai chiaro che a guardia del Libro era stato posto un potente sortilegio, probabilmente opera della Dama Bianca. I draghi sapevano? No, sicuramente no, non gli erano ostili, di questo era sicuro.

Manuel e Alice mossero, con cautela, alcuni passi verso il Libro. Il terreno si aprì sotto i loro piedi e iniziarono a precipitare in un pozzo senza fondo. Stavolta non era un’illusione! M.E.C. tese le mani e li catturò , frenandone la caduta, ma non riusciva a riportarli a sé, non aveva abbastanza forze, aveva consumato già troppe energie! Stava quasi per venir meno quando sentì che un’altra entità univa la propria telecinesi alla sua e insieme trassero in salvo i ragazzi. Si guardò intorno e, come si era aspettato, vide la gatta che gli si avvicinava. Aveva l’aria stanca e preoccupata. Anche M.E.C. era esausto, si sentiva svuotato di ogni energia, era chiaro che avrebbe dovuto imparare a dosare i suoi poteri, ogni volta che li usava rimaneva senza forze per un po’. Guardò la pietra, era molto scura.

“Lieta di rivederti, Mi-Kha'El”. La voce della gatta risuonò nella mente di M.E.C. Quel contatto gli sembrò familiare e rassicurante. Sorrise. “Come stai?” fece di rimando. La gatta raccontò che le cose andavano sempre peggio. Lei e gli altri protettori si stavano dando da fare per salvare più persone possibile, per allontanarle dalle zone pericolose, ma non potevano impedire che la magia della Dama Bianca catturasse gli sventurati che non riuscivano a raggiungere in tempo, e una volta che le loro menti erano preda del maleficio niente e nessuno le poteva più liberare. “Nessuno tranne te, Mi-Kha'El, abbiamo bisogno del tuo aiuto. Adesso.”

Uscirono dalla grotta, lentamente, delusi. Avevano sperato tanto nel Libro e ora si sentivano sfiduciati.

M.E.C. si rivolse alla gatta: “Come posso esservi di aiuto se non conosco i miei poteri? Credevo avrei imparato a usarli grazie al Libro, ma come hai visto è difeso da un sortilegio e non lo so certo spezzare!”

“Mi-Kha'El” rispose la gatta. La sua voce era dolce. “I poteri sono dentro di te, nessuno te li può spiegare, li devi trovare da solo, li devi sentire, e da quel che ho visto ci stai già riuscendo. In ogni caso sei l’ultima speranza per questo mondo.”

“Ma come è possibile che in tanti non riusciate a sconfiggere la Dama Bianca? Cosa posso fare io che voi non sappiate fare meglio?”

“Non siamo in tanti” sospirò la gatta “Per aiutare chi è in pericolo dobbiamo spingerci sempre più vicino al nemico e spesso veniamo attaccati. Noi siamo Protettori, non dovremmo lottare, a volte però siamo costretti a farlo per coprire la fuga di chi stiamo aiutando. Se uno Spirito Guida viene ucciso in combattimento non potrà più tornare, si riunirà al Tutto e di lui si perderà anche la memoria.”

“È questo che è accaduto al nostro compagno quando è stato ucciso dal principe?”

“È possibile. In realtà c’è stata una tale esplosione di energia in quel momento, talmente tante forze sono entrate in gioco contemporaneamente, che ne abbiamo perso le tracce, La verità è che non sappiamo se si sia rigenerato o no, ma ci ricordiamo di lui, e questo fa sperare che in qualche modo sia tornato in vita.”

“Ma ti chiedo ancora” insistette M.E.C. cocciuto “perché io, perché avete richiamato me, cosa posso fare?”

“Mi-Kha'El, nessuno di noi hai il potere di contrastare la magia della Dama Bianca, tu sì e quando sarà il momento confido che saprai cosa fare. Devo andare ora. Ti prego: non tardare, abbiamo tutti bisogno di te.”

La gatta si allontanò rapida, senza aggiungere altro. M.E.C. si chiese se l’avrebbe rivista.

Non aveva mai interrotto il contatto mentale con i suoi compagni, quindi non ebbe bisogno di interrogarli sulle loro intenzioni. Sapeva che lo avrebbero seguito. Dal canto suo aveva deciso di andare incontro al suo destino, quale che fosse.

Il vecchio drago che li aveva accolti al loro arrivo si avvicinò. “Mi-Kha'El, i draghi si sono sempre tenuti lontani dalle vicende degli uomini, ma i nostri fratelli sono prigionieri di un maleficio e combattono per la Dama Bianca. Tu e i tuoi compagni avete aiutato un nostro cucciolo e ora metterete in gioco le vostre vite, non possiamo rimanere indifferenti. Noi saremo al vostro fianco. Salite su di me, è ora di andare.”

Uno dopo l’altro i grandi rettili si levarono in volo. Neri, potenti, fieri: erano una visione impressionante.

M.E.C., aggrappato al collo del suo amico alato, guardava la valle come non l’aveva mai vista prima. Notò che stavano volando verso sud e chiese dove fosse accampato l’esercito della Dama Bianca. “Alcuni fratelli sono andati in avanscoperta e hanno visto che tutto l’esercito ha ripiegato sul castello. Le avanguardie della Dama Bianca non sono riuscite a catturarti o distruggerti, quindi lei ha preferito tornare dove si sente più sicura. Ti attende lì.”

Il paesaggio sotto di loro, a poco a poco, cambiava. Boschi, campi, giardini lasciavano il posto a terreni abbandonati, incolti, saccheggiati. I villaggi erano deserti. Tutto era pervaso da un senso di desolazione, persino i colori sembravano essere scomparsi, insieme alla vita.

Finalmente giunsero in vista del castello. Tutto attorno brillavano i fuochi da campo, nessuno dormiva quella notte!

Subito i draghi nemici si dispiegarono in formazione d’attacco. Il vecchio drago che portava M.E.C., Manuel e Alice si posò a terra al riparo di una piccola collinetta e li fece scendere. “Noi terremo impegnati i nostri fratelli e daremo di che pensare anche all’esercito. Tu, Mi-Kha'El, cerca di attraversare l’accampamento e raggiungi il castello: devi affrontare la Dama Bianca e la sua maledizione, solo così tutto questo finirà! Addio!”

La battaglia era iniziata. I draghi combattevano tra loro con violenza inaudita. I soffi infuocati attraversavano il cielo mentre strida acute laceravano l’aria. Quando cozzavano tra loro, cielo e terra tremavano. I soldati, formiche impazzite, correvano disordinatamente qua e là cercando di non farsi colpire dalle ali rostrate dei draghi. In mezzo a quel bailamme, M.E.C. e i ragazzi correvano verso il castello. D’improvviso qualcosa colpì M.E.C. con violenza, facendolo cadere a terra tramortito. Attraverso il velo di nebbia che scendeva a ottenebrargli la mente la vide: di fronte a lui c’era la donna del sogno, la Dama Bianca. Era quello il momento in cui avrebbe dovuto attingere ai suoi poteri per sconfiggerla, era quello il momento di entrare nella sua anima e liberarla dalla maledizione, era quello il momento, e lui giaceva lì, inerme, mentre lei si preparava a colpire. Aveva fallito, non avrebbe salvato nessuno, era la fine. Negli ultimi istanti di lucidità vide la Dama Bianca esitare: non lanciò subito il dardo che l’avrebbe incenerito e in quell’attimo fatale Alice piombò tra loro e ingaggiò battaglia con la maga. Vide le due donne allontanarsi duellando, poi più nulla.

Si ridestò. Il campo di battaglia era uno spettacolo tremendo.

Alice combatteva contro la Dama Bianca, la luce delle loro saette e il fuoco dei draghi che ancora lottavano fendevano l’oscurità che ammantava quel luogo maledetto. Manuel proteggeva Alice dai soldati nemici impedendo loro di avvicinarsi, ma ormai era allo stremo e stava per essere sopraffatto. M.E.C. improvvisamente capì, si chiese come aveva potuto essere così cieco fino a quel momento: Alice era la principessa scomparsa e Manuel lo Spirito Guida la cui uccisione aveva dato il via alla guerra. Si era rigenerato in forma umana e aveva scordato tutto, come era successo a lui, ma rimaneva accanto comunque alla sua protetta, avrebbe dato la vita per lei, ne era certo. “Se uno Spirito Guida viene ucciso in combattimento non potrà più tornare, si riunirà al Tutto e di lui si perderà anche la memoria” Le parole della gatta emersero prepotentemente dai ricordi, gravide di sinistri significati. No! Non poteva permetterlo!

Si rialzò, con immensa fatica, e raccolse tutta l’energia che poteva. La catena d’argento che portava al collo era diventata pesantissima e vibrava come un diapason, la pietra era sempre più scura.

Dalle mani di M.E.C. uscì una luce, divenne un raggio luminosissimo, di un verde intenso, accecante. Alzò le braccia al cielo e il raggio si stagliò nitido verso l’infinito. Attorno a quella colonna di energia purificatrice iniziarono a espandersi cerchi di luce sempre più estesi e man mano che raggiungevano i combattenti questi si fermavano e si risvegliavano dal sonno ipnotico di cui erano preda, abbandonavano le armi e si guardavano storditi e increduli, incapaci di credere a quel che vedevano, felici che l’incubo fosse finito. Quando la luce raggiunse il castello e avvolse anche la Dama Bianca e Alice, le due donne furono finalmente libere dal sortilegio d’odio e si riconobbero. M.E.C. vide la gatta dirigersi verso Manuel, di certo anche lei aveva capito e ora gli avrebbe svelato chi fosse e l’avrebbe aiutato a riprendere il suo ruolo di Protettore, come aveva fatto con lui. Fafnir e i Grandi Draghi Neri volavano verso le vette, diretti al loro inviolabile regno.

Era tutto finito.

M.E.C. era esausto, la sua energia era stata consumata fino all’ultima stilla, ma aveva la consapevolezza di aver adempiuto al suo dovere, aveva protetto le genti e le terre che gli erano state affidate e questo gli dava una sensazione di appagamento e serenità mai provata prima.

Sospirò. Sorridendo diede un ultimo sguardo al mondo rinato che lo circondava. Lentamente svanì e fu come se non fosse mai stato.

A terra rimasero una collana d’argento e una pietra nera.

E un fiore.

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