Messaggi flash e pensieri

01/03/2012: Addio grande uomo! :'(

Racconto di Patrizia R.

Un giorno, mentre sistemava la soffitta, M.E.C. trovò un baule di legno che non riconobbe come suo, e decise quindi di portarlo in redazione...
Fermo al semaforo, fantasticava su cosa potesse contenere il baule che, al momento, riposava tranquillo nel bagagliaio dell’auto. Beh, “baule” … diciamo piuttosto “bauletto”. Non era una cosa grande, nemmeno tanto pesante. Il che faceva escludere che fosse pieno di monete d’oro. “Peccato” pensò sorridendo, mentre nella sua mente già si formava l’immagine di sé stesso, novello Zio Paperone, che si esibiva in un triplo carpiato dal trampolino del deposito pieno di dobloni e talleri! Divertito da quell’immagine, gettò uno sguardo di apprezzamento a un ragazzo che attraversava frettoloso, zaino in spalla, probabilmente in ritardo per la scuola. “Carino” pensò. Peccato fosse tanto giovane… Con un sospiro si concentrò sulla guida e non pensò più né al ragazzo né al baule fin quando non fu riuscito a parcheggiare.
Si avviò verso l’ufficio portando il misterioso forziere, apparso chissà come, chissà quando, nella sua soffitta. “Per fortuna avevo appena detto che non pesa molto!” sbottò, facendo voltare alcuni passanti incuriositi. La strada da fare non era lunga, in fondo era anche stato fortunato e aveva lasciato l’auto in una laterale poco distante dalla redazione, ma il peso sembrava aumentare ad ogni passo. Cominciò a pensare molto seriamente che il contenuto del cofanetto fosse un gatto. Solo loro hanno la capacità di variare il proprio peso specifico a seconda delle circostanze (e della convenienza)! Manuel, quando di notte si acciambellava sopra le sue gambe, diventava di piombo. Impossibile muoversi o smuoverlo. Per contro, quando gli conveniva, era più leggero di una piuma. A quanto pareva, il baule del mistero aveva la stessa peculiarità, accidenti a lui!

Elisabetta camminava su e giù per la stanza. Non occorreva un grande intuito per capire che era alquanto nervosa! Continuava a prendere in mano qualunque oggetto le capitasse a tiro, per poi rimetterlo giù -ovviamente sbattendolo- e prenderne un altro e un altro ancora. Non ci si spiegava come mai non avesse ancora rotto nulla, ma forse le suppellettili di casa erano state acquistate pensando al suo dolce caratterino! Oh, intendiamoci: era un angelo del focolare, bravissima in cucina e in mille altre cose, ma se qualcosa non andava secondo i suoi piani … apriti cielo! Quando Lucio rientrò in salotto lo assalì quasi con ferocia: “Hai trovato???” Lo sguardo sconsolato (e anche un po’ timoroso) di quell’omone tutto muscoli (e poco coraggio) le bastò. Sferrò un calcio a una poltrona e lanciò un peluche contro il muro, mentre Lucio adottava la tecnica del “io-non-ci-sono-io-non-mi-muovo-forse-me-la-cavo”, poi si abbandonò sul divano col cervello che andava a mille. E adesso? Come poteva risolvere questo pasticcio?

Un M.E.C. sempre più perplesso si aggirava per la redazione vuota. Non si era stupito più di tanto quando al mattino, scendendo per colazione, aveva trovato la casa deserta: era un nottambulo cronico e talvolta si concedeva un po’ di sonno extra godendosi poi una solitaria colazione nella grande cucina silenziosa, mentre gli altri erano già al lavoro. Ma, appunto, scoprire che anche in ufficio non c’era nessuno lo lasciava interdetto: dove si erano cacciati tutti? Si sedette alla scrivania e accese il computer: avrebbe aspettato un po’ e intanto avrebbe iniziato a sbrigare un po’ di lavoro. Rispose alle mail arrivate nella sua casella (e pensare che qualcuno affermava non lo facesse mai! malelingue!) poi iniziò a scrivere un articolo, ma senza riuscire a concentrarsi. Lo sguardo e il pensiero correvano sempre lì: al baule. Fremeva di curiosità, voleva assolutamente scoprire cosa contenesse, ma non lo avrebbe mai aperto senza i suoi compagni di viaggio! Vivevano insieme da sempre in quella vecchia casa e tutto ciò che essa conteneva era considerato proprietà comune, per questo quando aveva trovato quel tesoro non era stato nemmeno sfiorato dall’idea di sollevare il coperchio: era una cosa che doveva essere fatta in riunione plenaria.

Anne guardava dal finestrino mentre il treno correva verso casa. All’orecchio il cellulare con cui Elisabetta le trasmetteva le pessime notizie. Ma come era possibile? Stavolta era pronta a scommettere che nulla sarebbe andato storto, aveva previsto ogni eventualità. Almeno così credeva fino a poco prima… Forse l’errore era stato di mettere tutto in un unico punto, sarebbe stato più saggio diversificare, ma ormai era tardi, inutile recriminare, occorreva una soluzione, e subito!
Forse … sì! Spiegò l’idea a Elisabetta e incrociò le dita sperando che riuscisse a fare in tempo. Odiava sentirsi impotente, ma fino a sera sarebbe stata fuori gioco, doveva rassegnarsi e aspettare, confidando nelle capacità organizzative dell’amica e nella bravura dei ragazzi nell’aiutarla.

M.E.C. si sentiva solo e abbandonato. Le ore passavano e nessuno si faceva vivo. L’ufficio era sempre deserto, il telefono taceva, il cellulare pure, anche la chat era desolatamente muta. Pareva che il mondo intero lo ignorasse deliberatamente.
In effetti avrebbe potuto chiamare lui, cercare di rintracciare qualcuno dei suoi compagni, ma ormai era caduto preda di un attacco acuto di vittimismo e preferiva crogiolarsi nell’autocommiserazione. Iniziava anche ad avere un certo appetito. La colazione tardiva era stata sì abbondante, in realtà un brunch, ma l’idea di uno spuntino era sempre più allettante. Uscì e si avviò verso il ristorante solito, godendosi il sole caldo di quell’inizio di primavera.
Il venticello leggero spazzò via i residui del suo malumore e iniziò a elaborare congetture (una più improbabile dell’altra) su cosa tenesse tutti i membri dello staff tanto impegnati da non dare notizie per l’intera giornata. Doveva ammettere che gli mancavano: erano un team affiatato, molto più che semplici amici. Si completavano a vicenda e benché tanto diversi tra loro convivevano benissimo senza (quasi) mai litigare.
Certo, quando erano tutti insieme, gatto compreso, la casa risultava piuttosto affollata, ma ognuno di loro aveva il proprio angolino preferito dove rifugiarsi se aveva bisogno di solitudine. Il suo era la soffitta. Gli piaceva rintanarsi lassù, nelle ore libere, e sprofondare nella poltrona accanto all’abbaino con un libro e una scorta biscotti, a leggere e sognare. Da lì si dominava l’intera valle, uno spettacolo che non si stancava mai di ammirare, da lì la fantasia era libera di volare.

A casa Elisabetta era passata all’azione. A Elias e Carlo venne affidata la prosecuzione delle ricerche, mentre Lucio e Raimondo erano stati promossi sul campo suoi aiutanti personali e trascinati in cucina. “Su: sbatti quelle uova! Dai, Lucio, non hai ancora finito con le mandorle? E SPOSTATI!!!! LA TEGLIA SCOTTA!!!”

A pancia piena, M.E.C. si sentiva decisamente meglio. Non aveva voglia di tornare in ufficio, preferiva passeggiare ancora un po’ per la città annusando la primavera. Non riusciva a togliersi dalla testa il baule. Aveva trascorso un sacco di tempo in soffitta e era assolutamente sicuro di non averlo mai visto prima. Però c’erano un sacco di cianfrusaglie lì, era possibile che qualcuno, cercando qualcosa, avesse spostato altre scatole e scatoloni e l’avesse così messo allo scoperto senza farci poi troppo caso. Era la spiegazione più ovvia, ma proprio per questo non gli piaceva. Trovava molto più credibile l’ipotesi che appartenesse al pro-pro-pro-prozio di Raimondo, che fosse stato recapitato nottetempo da una squadra di scimpanzé appositamente addestrati e che contenesse la mappa per trovare il favoloso tesoro della perduta piramide di Nonsodove. Mappa cifrata, ovviamente. Si guardò alle spalle: il dottor Krantz poteva essere in agguato! Meglio tornare a casa e mettere al sicuro il suo ritrovamento. Prima o poi gli amici sarebbero tornati e insieme avrebbero sollevato quel benedetto coperchio e svelato il mistero.

Anne, gettate le valigie in camera, stava aiutando Elisabetta a dare gli ultimi tocchi qua e là. Quella ragazza era stata fantastica, aveva risolto alla grande l’emergenza. Certo, se non fosse sparito tutto quello che avevano accumulato sarebbe stato meglio, ma in ogni caso adesso erano pronti! Nascosti in giro per casa c’erano innumerevoli graziosi pacchettini di biscotti di ogni tipo, avvolti in carte sbrilluccicose, impreziositi da piccoli origami fatti lì per lì dalle manine sante di Lucio (sembrava in credibile a vederlo, ma … era un mago in quelle cose!) In salotto la tavola era apparecchiata col servizio “buono” e in cucina era pronta una cena spettacolare! Ora mancava solo una cosa: M.E.C. Dove si era cacciato quel benedetto ragazzo?

Mise l’auto in garage. Aveva visto le finestre illuminate, sentiva voci e musica (Verdi? Scelto da Carlo, sicuramente). Erano tornati! Felice, col suo cofano di legno sottobraccio, aprì la porta e entrò in salotto: sembrò che anche la musica si fermasse. Tutti si erano voltati per salutarlo e tutti si erano bloccati a fissarlo a bocca aperta. “Ma … stiamo giocando a un-due-tre-stella e nessuno mi ha avvisato?” Anne iniziò a ridere, ridere, ridere fino alle lacrime, e con lei tutti gli altri. Loro ridevano e M.E.C. li fissava esterrefatto, senza capire, poi, asciugandosi gli occhi e ancora scossi da accessi di ilarità incontenibile, gli si avvicinarono e a turno lo abbracciarono. “Solo tu potevi far fare a noi la caccia al tesoro che avevamo progettato per te!” Gli presero il baule dalle mani e lo appoggiarono al centro della stanza, poi sollevarono (finalmente!) il coperchio e … eccolo il tesoro!
Niente pergamene o gioielli antichi, ma i regali che gli amici avevano scelto per festeggiarlo! Gli scese una lacrima (beh, più di una) di commozione. Come poteva aver pensato che lo evitassero, che lo ignorassero? Erano parte di lui come lui era parte di loro!
“Buon Compleanno, M.E.C.!!!”

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